Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il Giorno della Memoria e l’eccesso di retorica

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Anche quest’anno in tutta Italia la Memoria della Shoah torna protagonista, con un profluvio generoso di pubblicazioni, di convegni e di manifestazioni di vario tipo, nelle scuole, nei teatri, nei centri sociali e nei luoghi istituzionali. E proprio in questi giorni la direzione del museo del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in Polonia, fa sapere che nel 2012 ha raggiunto la quota record di 1,43 milioni di persone.

La positiva attenzione di queste settimane intorno alle tematiche della Shoah, della deportazione politica e dell’internamento militare (oggetto della legge del 2000 istitutiva del Giorno della Memoria) non può oscurare il duplice timore legato all’andamento di queste celebrazioni.

 

Il primo timore è l’eccesso di retorica. Le vicende di quel tempo sono così crude e cariche di per sé di drammaticità, che occorrono misura e pudore nel raccontarle, evitando aggettivi inutili. Invece spesso educatori, associazioni, politici, studiosi rischiano, in buona fede o per ignoranza culturale, di appesantire le iniziative con un surplus di generica enfasi  e di ripetitivi luoghi comuni (ne costituiscono un classico esempio le frasi “per non dimenticare” e “perché non si ripeta più”, ormai usurate dal troppo abuso).

Con l’effetto opposto a quello voluto: collocare la persecuzione e la deportazione in una sfera “altra”, quasi irreale, allontanando adulti e ragazzi dalla comprensione di quanto accaduto.

Il secondo timore è quello evidenziato, con la consueta lucidità, da David Bidussa: l’eccesso di memoria. Inteso non come eccesso di testimonianze (anzi, purtroppo, piangiamo tutti la perdita nell’ultimo anno di molti importanti Testimoni), ma come esagerazione dell’utilizzo della dimensione del racconto a scapito dell’esame dei documenti e dell’approfondimento e dell’analisi dei fatti storici.

Giustamente Bidussa avverte che “Non occorre più memoria. Occorre più storia”. È faticoso lo sforzo di contestualizzare e di interpretare il passato, interrogando i documenti e le stesse testimonianze. Ma è l’unica strada per non seppellirlo sotto un rumore apparentemente utile, ma nella sostanza caotico e assordante.


Mario Avagliano

 

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