Rita Levi Montalcini e gli italiani “brava gente”

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia Contemporanea
Creato Mercoledì, 02 Gennaio 2013 17:33
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:22
Pubblicato Mercoledì, 02 Gennaio 2013 17:33
Scritto da Mario Avagliano
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Rita Levi Montalcini non fu solo una straordinaria scienziata. Lei che aveva conosciuto l’infamia delle leggi razziali e nel 1938, da giovane ricercatrice, era stata costretta dal regime fascista ad emigrare in Belgio, per tutta la vita riservò una parte del suo impegno alla politica e alla riflessione etica. Piero Banucci, su «La Stampa» del 31.12.12, ha proposto un’intervista inedita risalente al 1988. Vale la pena rileggerne alcuni brani.

Scopriremo che Rita Levi Montalcini riteneva attuale “essere antifascisti”: «Significa mantenere vivi quei valori che si stanno perdendo da parte dei revisionisti. Oggi non c’è da opporsi a una persecuzione, a una privazione della libertà come avveniva sotto il fascismo. Antifascisti dovremmo esserlo tutti. Purtroppo non è così.

Il fascismo è stato la distruzione di tutti i valori morali. Un revisionista per esempio è lo storico Renzo De Felice. Per lui siamo stati tutti uguali, tutta brava gente, tanto vale passare una spugna su tutto.

 

Un momento: io dico no, ci sono i bravi e i cattivi. Primo Levi è stato formidabile nel denunciare il revisionismo. Le cose vanno ancora peggio in Francia.

De Felice afferma che l’Italia è fuori dall’ombra dell’olocausto. Non è affatto vero. Sono amareggiata da queste affermazioni. Oggi, nel 1988, antifascismo è avere dei principi etici».

E sul pericolo di razzismo, così si esprimeva: «Il razzismo è sempre in agguato. In molte parti del mondo si assiste a persecuzioni non diverse da quelle che abbiamo avuto in Europa mezzo secolo fa.

Ci sono ritorni di antisemitismo, persino in Italia. Tutto ciò denota un basso livello di valori etici. I razzisti sono persone frustrate, che pensano di rivalersi perseguitando persone che ritengono inferiori. Questi rigurgiti del passato non mi toccano, ma mi addolorano».

Mario Avagliano