Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L’atto di nascita dello Stato palestinese

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La Palestina diventa Stato «osservatore» dell’Onu. Con 138 sì, 9 no e 41 astenuti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dato il via libera alla storica risoluzione.

Comunque lo si guardi quello di questa notte all'Onu è un voto storico. Esattamente 65 anni dopo la risoluzione sulla spartizione della Terra Santa in due Stati, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite esprime con chiarezza un voto per affermare il diritto di un popolo, quello palestinese, al proprio Stato.

Era il 29 novembre del 1947, anche allora un giovedì, quando l’Onu adottò la risoluzione 181 che prevedeva la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo entro i confini della Palestina-Eretz Israel.

Anche questa notte, al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, si è riaffermato il principio dei due Stati per due popoli: un processo avviato da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat che non concede spazio ai disegni del «Grande Israele» o della «Grande Palestina».

"La Palestina viene all'Assemblea Generale oggi perché crede nella pace e la sua gente ne ha un disperato bisogno.

 

Dateci il certificato di nascita", ha affermato Abu Mazen nel suo discorso per rilanciare il processo di pace.

Per Abu Mazen, il voto di questa notte è sicuramente un’enorme vittoria diplomatica, che lo rafforza anche sul fronte interno e nei confronti di Hamas.

Con questa risoluzione, infatti, la Palestina viene riconosciuta come “Stato osservatore”, un gradino in meno rispetto a “Stato membro”, ma pur sempre “Stato”, internazionalmente riconosciuto, e non più soltanto “entità”.

Uno degli effetti più attesi dai Palestinesi è la possibilità di chiedere al Tribunale Penale Internazionale di indagare su eventuali crimini commessi dalla leadership israeliana durante il pluridecennale conflitto israelo-palestinese.

Nelle ultime ore, anche l'Israele del dialogo si è mobilitata a sostegno della risoluzione Onu che sancisce di fatto “l'atto di nascita” dello Stato Palestinese.

“Quello che avviene oggi è una data storica per il popolo palestinese e per noi”, ha dichiarato questa notte Uri Avneri dell’Associazione Gush Shalom nel corso di una manifestazione per la pace a Tel Aviv.

“Se vogliamo costruire il futuro dobbiamo aiutare i Palestinesi a costruire il loro Stato”. Anche Ehud Olmert, Primo Ministro dello Stato di Israele dal maggio 2006 al gennaio 2009, ha dichiarato ieri mattina che non ci sono motivi per cui Israele debba opporsi alla richiesta palestinese all'ONU.

“Credo che la richiesta palestinese alle Nazioni Unite è congruente con il principio dei due Stati. Per questo motivo, io non vedo alcun motivo per opporsi alla risoluzione".

Già nei mesi scorsi, numerosi erano stati gli spiragli aperti al dialogo. In una lettera aperta indirizzata al governo Netanyahu, due grandi scrittori israeliani come Amos Oz e Sami Michael, lo storico Zeev Sternhell, l’ex ministro donna Shulamit Aloni sostenevano che “chiedere e ottenere l'indipendenza del proprio Stato è uno dei diritti naturali dei popoli, conforme alle necessità morali e a quelle dell'esistenza.

In questo contesto esso rappresenta anche la base della convivenza tra i popoli israeliano e palestinese”.

Naturalmente, il governo Netanyahu non ha modificato la sua contrarietà alla risoluzione Onu, come ha dichiarato ieri il Primo Ministro al “Jerusalem Post”, ribadendo che le Nazioni Unite non possono costringere Israele a scendere a compromessi con la propria sicurezza.

Ma durante il voto di questa notte, i “no” sono stati meno di dieci - inclusi Israele, Canada e Stati Uniti - tra tutti i 193 Stati dell'Assemblea.

Tra i grandi attori internazionali, Russia e Cina si sono detti a favore del riconoscimento della Palestina come Stato osservatore a partire dalle frontiere del 1967 e con capitale a Gerusalemme Est.

Il sì alla Palestina da parte dell’Assemblea Onu consegna quindi alla storia un mondo occidentale spaccato, diviso: con gli Stati Uniti al fianco di Israele nel dire “no” al riconoscimento della Palestina come Stato “osservatore” e i Paesi europei in ordine sparso, incapaci di parlare con una sola voce e di raggiungere una posizione comune.

Molti Paesi avevano fatto conoscere in anticipo il loro voto favorevole: tra questi Spagna, Francia, Irlanda, Grecia e Islanda.

La Germania invece si è astenuta: lo ha annunciato il ministero degli Esteri tedesco, precisando comunque che Berlino è favorevole alla creazione di uno Stato palestinese, ma ritiene che il modo migliore per arrivarci sia tramite il negoziato con Israele.

Hanno scelto l'astensione anche la Gran Bretagna, l'Olanda e la Repubblica Ceca.

Solo a poche ore dal voto, l'Italia ha sciolto le riserve e “ha deciso di dare il proprio sostegno alla risoluzione”, come si legge in una nota di Palazzo Chigi.

La decisione “è parte integrante dell'impegno del governo italiano volto a rilanciare il processo di pace con l'obiettivo di due Stati, quello israeliano e quello palestinese, che possano vivere fianco a fianco, in pace, sicurezza e mutuo riconoscimento”.

Una svolta dell’ultima ora, dopo che nei giorni scorsi l’astensione era data per certa alla Farnesina, pur tra mille distinguo e esitazioni.

La decisione è stata preannunciata telefonicamente dal presidente Mario Monti a Mahmoud Abbas e a Benjamin Netanyahu, presidente e primo ministro israeliani, per spiegare le motivazioni della posizione italiana.

Nella correzione di rotta che il governo Monti ha imposto alle scelte che erano state del precedente governo hanno sicuramente pesato i nuovi equilibri in Medio Oriente, la guerra a Hamas, il pericolo della Siria.

Ma la “svolta” di Monti – dietro cui è facile intravedere una convergenza con il Quirinale – è netta e inequivocabile: quello dell’Italia non è un voto contro il governo di Tel Aviv, ma a favore del dialogo tra israeliani e palestinesi, verso la nascita dei due Stati, uno arabo e uno ebraico, in Palestina.

 

Luciano Trincia - Linkiesta




 

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