1918-1921. Fuoco sotto le elezioni. Gli incidenti di Spalato, Trieste e Maresego

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia Contemporanea
Pubblicato Giovedì, 21 Marzo 2019 07:20
Scritto da Marco Vigna
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Esistono saggi storici che si possono considerare il punto d’arrivo di un lunghissimo dibattito, poiché sono capaci di riassumerlo e superarlo, scrivendo quasi tutto ciò che è possibile dire al momento su di un dato argomento, cosicché si possono ritenere (almeno temporaneamente, non potendosi escludere a priori un ulteriore perfezionamento) il testo finale su di un dato tema.

Un esempio di questo è la monografia sulla battaglia di Maratona dello storico Peter Krentz (La battaglia di Maratona, pubblicato in Italia dalla casa editrice Il Mulino nel 2013), che con l’analisi comparata sia di tutte le fonti letterarie ed archeologiche, sia delle fonti secondarie ovvero dell’immensa storiografia sorta su questo celeberrimo episodio bellico, con una metodologia articolata, multiforme e flessibile riesce a sciogliere i molti punti ignoti ed a presentare un quadro complessivo organicamente coerente e sempre comprovato.

Come hanno osservato suoi colleghi antichisti, è difficile immaginare un libro che possa fare meglio di questo testo nella ricostruzione del leggendario scontro di Maratona.

 

Vi sono anche saggi di altro tipo, altrettanto importanti ma in modo opposto, che anziché concludere un’interminabile disanima consentono d’aprirla, per cui invece di essere un punto d’arrivo sono uno di partenza.

La loro caratteristica è l’apertura che schiudono verso aree di studio precedentemente ignote e solitamente sono ricerche che portano alla luce fonti in precedenza ignote. Un esempio di questo è il libro di Valentina Petaros Jeromela, 1918-1921. Fuoco sotto le elezioni. Gli incidenti di Spalato, Trieste e Maresego (Trieste 2018).

La dottoressa Petaros è una ricercatrice ed archivista italiana che vive in Istria, in territorio oggi sloveno, che da molti anni si dedica allo studio dei documenti d’archivio concernenti la storia della Venezia Giulia e della Dalmazia nel periodo interbellico, avendo così prodotto fra l’altro una pregevole monografia sull’attività dell’ammiraglio Enrico Millo nella regione dalmatica.

Durante l'occupazione militare della Dalmazia, negli anni 1918-1920, la zona costiera fu ripartita in quattro aree, ciascuna affidata ad una delle quattro grandi potenze vincitrici della Grande Guerra, con l'ammiraglio Millo che ebbe l'incarico di governatore della Dalmazia. Il ritrovamento di documenti mai esaminati, anzi anche solo letti, da quasi un secolo ha permesso a Petaros di comprendere meglio gli incidenti di Spalato del 1920, quando i nazionalisti slavi assassinarono alcuni marinai italiani.

Ora ella è ritornata su questo periodo con un’indagine estesa agli anni 1918-1921 nelle terre dalmate e giuliane. Fuoco sotto le elezioni è ripartito in quattro capitoli.

Il primo analizza nel dettaglio i tre incidenti di Spalato (11 luglio 1920), Trieste (13 luglio 1920), Maresego (15 maggio 1921), ponendoli nel contesto storico del periodo.

Il secondo esamina le elezioni del 1921 nella Venezia Giulia (Triestino, Goriziano, Istria), a Fiume ed a Zara (città dalmata), riunite all’Italia dopo la prima guerra mondiale.

Il terzo è rivolto alla figura di Sergio Dompieri, l’avvocato delle tre vittime di Maresego.

Il quarto ed ultimo riassume invece la relazione americana sulla loro occupazione militare di parte della Dalmazia negli anni 1918-1921.

Il titolo dell’opera allude anzitutto agli scontri fra slavi ed italiani avvenuti nell’imminenza del voto del 1921 ed in generale nel contrasto politico fra le contrapposte rivendicazioni della Jugoslavia e dell’Italia.

I marinai della Regia marina uccisi a Spalato, l’assassinio di Giovanni Ninì ed i posteriori disordini culminati nell’incendio del Balkan, l’uccisione di militanti italiani a Maresego furono soltanto gli eventi più gravi di una serie di aggressioni e contrasti violenti fra le due parti.

È degno di nota che la prima “scintilla”, appunto i fatti di Spalato del 1920, vide militari serbi sparare addosso ad italiani.

Il successivo tumulto a Trieste è incomprensibile se non posto in rapporto ovvero concatenazione a quest’attacco omicida ed in più il famigerato rogo che bruciò un centro culturale slavo fu senz’altro provocato dall’arsenale di armi che esso conteneva, essendo un covo di nazionalisti militanti jugoslavi.

Infine a Maresego undici ragazzi italiani, con età media 14 anni, furono accerchiati ed assaliti da una folla armata di facinorosi, membri di una squadra paramilitare di comunisti almeno in parte slavi. Tre studenti italiani furono uccisi, di cui due minorenni, ed altri feriti anche gravemente.

Anche se Valentina Petaros non lo dice, limitandosi all’asettica riproduzione dei fatti, questo quadro smentisce radicalmente la vulgata predominante nel lessico politico e giornalistico secondo cui il “fascismo italiano” avrebbe incendiato una società plurietnica precedentemente pacifica.

La verità obiettiva è che le violenze fasciste, che sicuramente vi furono, avvennero dopo ed in reazione alle aggressioni condotte da unità militari o gruppi paramilitari di parte slava.

I capitoli focalizzati sulle elezioni e sull’avvocato Dompieri permettono d’altronde di comprendere tale conflittualità in un ambito giuridico e sociale complicato ulteriormente dall’intreccio fra giurisprudenza austriaca, ancora in vigore almeno parzialmente, ed italiana, nonché dalle ingerenze della Jugoslavia nella Venezia Giulia tramite la sua longa manus formata da cellule clandestine di agitatori e propagandisti, che avevano a loro disposizione anche veri depositi di armi ed erano strutturate in un’organizzazione clandestina.

La ricerca evidenzia anche la politica filoslava dell’amministrazione militare e della diplomazia degli Usa, che appoggiarono le pretese jugoslave sulla contesa Dalmazia, sostenuti in questo da altri infidi alleati come inglesi e francesi.

L’ostilità di Washington, Londra e Parigi verso Roma nella fissazione delle frontiere postbelliche, nonostante l’alleanza sottoscritta ed il patto di Londra stretto fra le tre potenze europee, è notoria e provata da un’amplissima documentazione diplomatica, ma è importante ciò che Petaros ha portato alla luce sull’azione in loco degli alti ufficiali americani.

Basti dire che i gendarmi serbi che spararono su marinai italiani a Spalato erano teoricamente ai comandi dell’ammiraglio americano Andrews, che fu titolare dell’inchiesta su questo accadimento, gravissimo politicamente e diplomaticamente, archiviandolo quale un banale incidente.

Uno dei meriti di Fuoco sotto le elezioni consiste nel suo documentare che già nei primissimi anni dopo la prima guerra mondiale vi fu un esodo di italiani dalla Dalmazia verso l’Italia, che fuggirono nella madrepatria abbandonando ogni loro proprietà sotto la pressione di una società, quella della nascente Jugoslavia, che era loro ostile.

Questa fuga di profughi, segmento di un secolare processo di slavizzazione forzata della regione dalmatica rimasta latina ed italiana in maggioranza sino al secolo XVII e poi sottoposta a partire dal 1848 circa ad una violenta persecuzione italofoba, è pochissimo conosciuto e studiato, sebbene il professor Luciano Monzali ne abbia discusso nel suo eccellente Italiani di Dalmazia.

Il testo è intenzionalmente nudo in quanto ad approfondimenti ed interpretazioni, poiché si concentra sulla pura storia evenemenziale ricostruita sulla base di documenti archivistici finora sconosciuti. Valentina Petaros, con rara ed eccessiva modestia, rifiuta di definirsi storica e volutamente evita un’analisi verticale del materiale ritrovato condotta attraverso un’operazione di combinazione, comparazione e contestualizzazione degli hard facts indicati.

La metodologia che ella impiega è strettamente filologica, poiché colloca i fatti in sequenza per comprenderne la genesi, ordinando il singolo evento in base alla fonte prima cronologicamente che sia possibile rintracciare ed aggiungendo di volta in volta gli altri sempre con lo stesso approccio.

Tuttavia il suo lavoro, compiuto con acribia filologica e con attenzione alla narrazione oggettiva redatta sempre puntellandola alle fonti, è proprio del genere che un Leopold von Ranke apprezzava. I suoi contenuti e le informazioni riportate sono in potenza capaci di rinnovare profondamente lo status quaestionis della storiografia contemporaneistica sugli anni fatidici 1918-1921 ai confini orientali d’Italia, che sovente è ancora propensa ad interpretarli erroneamente sotto la categoria ideologica della presunta aggressività italiana e fascista, obliando ed omettendo il ricorso alla violenza politica da parte dei nazionalisti slavi.