Il fallimento industriale e culturale dei Borbone anche nella infrastruttura ferroviaria

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Ci si è chiesti perché i Borbone, di cui alcuni si vantano in relazione al primato della ferrovia Napoli - Portici, gradualmente poi in pochi anni fecero sì che il loro Regno diventasse uno degli ultimi proprio in quell' emergente ed importante settore delle infrastrutture.

Scrive la storica Renata De Lorenzo che un primato è "tale solo se diventa volano per instaurare una normalità continua e produttiva”, e che il forte divario tra gli altri Stati d’Italia e il Regno delle Due Sicilie, che si riscontrò, all’alba dell’Unità d’Italia, nel settore delle ferrovie, come avremo modo di osservare, fu determinato dalla decisione di non far dipendere l’economia del regno da capitali stranieri, per cui il re Ferdinando II si interessò in maniera precipua e personale solo alla costruzione della Napoli- Caserta- Capua, linea che portava alla Reggia vanvitelliana.

C’è, tuttavia, una ragione da non sottovalutare e riguarda la decisione di opporsi all’infrastruttura ferrovia, allorché i Borbone si accorsero che le ferrovie apportavano un vantaggio in relazione alla libera circolazione degli uomini e delle idee, per cui tale settore poteva considerarsi molto insidioso per chi non voleva che gli uomini fossero teste pensanti, di cui la maggior parte era rinchiusa nelle varie carceri del Regno, ma vi erano migliaia pronti a diffondere le idee liberali, rivoluzionarie e costituzionali.

Se nel corso degli anni si erano potuti incarcerare migliaia di teste pensanti, vi erano- come scrive Michele Viterbo- altrettanti sospetti " pensanti" presenti nel Regno, i quali avevano anch'essi quella volontà di parlare troppo spesso di libertà e Costituzione e pronunciare una parola cara: Italia.

Così, dopo la rivoluzione del 1848, anche le ferrovie diventarono pericolose in quanto permettevano una circolazione più rapida di uomini e di idee e, siccome Ferdinando II era solito dire che " l'ignoranza del popolo rende molto più facile il compito di guidarlo", furono sempre più malviste, indesiderate.

Maxime du CampTuttavia si viaggiava e, proprio viaggiando in Calabria, Maxime du Camp, noto accademico e scrittore francese, inviato speciale essendo inoltre uno dei migliori fotografi del tempo, annotava: " Un uomo che sa leggere e che legge è malvisto, sospettato di appartenere a società segrete, e viene trattato da libero pensatore, accusato di empietà, e così insistentemente sorvegliato che, per stornare i sospetti, esagera le sue manifestazioni di fede: diventa ipocrita per essere lasciato in pace...Solo così ottiene di non essere infastidito dalla polizia, che in ogni uomo istruito vede un liberale, un carbonaro"

Una persona quale il diplomatico austriaco barone Hubner, colui che si trovava a Milano durante i moti milanesi delle cinque giornate, intimo di Metternich, il quale aveva più volte riportato i Borbone sul trono, ebbe a scrivere al ministro Buol nel 1857, dopo un viaggio nel Regno borbonico: “Vi è un ordine di cose qui che non somiglia al secolo passato bensì al Medioevo artificialmente conservato…, ma un Medioevo senza la sua energia, il suo coraggio, la sua fede.

L’energia è ostinazione, il coraggio poltroneria, la fede superstizione”. Eppure stiamo parlando di un ammiratore e sostenitore del vecchio regime aristocratico, che si espresse in tal modo nei confronti dell’arretratezza in cui era tenuto il Regno delle Due Sicilie e segnatamente la città di Napoli dai Borbone.

Dopo il 1848 soprattutto, il timore della diffusione delle idee liberali, rivoluzionarie, portò i Borbone a considerare le ferrovie quale pericoloso veicolo di diffusione di tali idee di rivendicazione della Costituzione, per cui, all’alba dell’Unità d’Italia, solo novantanove chilometri di ferrovia vi erano nel Regno delle Due Sicilie con una Calabria completamente priva, a confronto degli 850 km di strade ferrate del Piemonte, di 607 del Lombardo - Veneto, di 323 del Granducato di Toscana, di 132 dello Stato pontificio.

Il piccolissimo ducato di Parma poteva vantare anch’esso 99 km di ferrovia, la stessa cifra dell’esteso territorio delle Due Sicilie.

Anche se lo stato di arretratezza riguardava il complesso delle infrastrutture di comunicazione, come scrive Emanuele Felice: “ è nelle ferrovie che si palesa meglio il fallimento del Regno delle Due Sicilie: esattamente il contrario di quanto gli scritti celebrativi sui Borboni vorrebbero farci credere”.

E a quel tempo le ferrovie non erano delle infrastrutture come tante; esse stavano rivoluzionando il trasporto terrestre, rendendolo per la prima volta più economico di quello via mare, e pertanto assurgevano a simbolo del progresso e della rivoluzione industriale.

 

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