Banditi comuni al servizio della reazione
Carmine Crocco e Ninco Nanco avevano commesso durante il Regno borbonico vari omicidi, che li portarono a sfruttare i contingenti eventi storici da poter consentire loro di evitare i conti con la giustizia dopo le varie evasioni dal carcere. Ad avvalorare la prova che costoro tra il 1860 al 1862 avessero cercato di risolvere i loro rilevanti problemi giudiziari, vi è un verbale dell’Arma dei Carabinieri del 1862 in cui si fa riferimento anche al brigante Giuseppe Caruso. Esso costituisce un’ulteriore prova che Crocco e Nanco avessero solo a cuore di chiudere i conti con la giustizia. Ricordiamo che Carmine Crocco fu arrestato e rinchiuso nel bagno penale di Brindisi il 13 ottobre 1855, ricevendo una condanna a 19 anni di carcere per aver ucciso un commilitone dell’esercito borbonico. Ma il 13 dicembre 1859 riuscì ad evadere, nascondendosi tra i boschi di Monticchio e Lagopesole. Anche Ninco Nanco fu condannato per omicidio a dieci anni di reclusione nel carcere di Ponza, ma pure lui riuscì ad evadere nell'agosto 1860. Dopo l’evasione dal carcere Crocco si unì al movimento insurrezionale lucano dell’agosto 1860 contro la tirannia borbonica, seguendo altresì l’esercito garibaldino dal 17 agosto 1860 fino al suo ingresso a Napoli. Sperava di “sanare “ in tal modo il grave delitto di aver ucciso un commilitone borbonico. Non riuscì nello stesso intento il Ninco Nanco che, dopo l’evasione, chiese più volte di arruolarsi nell’esercito garibaldino e poi nella Guardia Nazionale, ma senza riuscirvi. Crocco combatté come sottufficiale a Santa Maria Capua Vetere e, successivamente, nella celebre battaglia del Volturno. Secondo le testimonianze dei rivoluzionari del tempo, Crocco prestò i suoi servigi con zelo e attaccamento al moto nazionale. Cinto dal tricolore, tornò a casa vittorioso e, fiducioso di poter ottenere quanto gli era stato promesso, si recò a Potenza dal governatore Giacinto Albini, il quale assicurò che l'amnistia sarebbe stata acconsentita. In realtà, le cose non andarono secondo le aspettative: Crocco non ricevette la grazia e fu emesso il suo mandato d'arresto. La sua condanna fu aggravata a causa del sequestro di Michele Anastasia, capitano della Guardia Nazionale di Ripacandida, compiuto con l'aiuto di Vincenzo Mastronardi e avvenuto prima dei moti risorgimentali di agosto. Crocco tentò la fuga, ma venne sorpreso a Cerignola e nuovamente incarcerato. Grazie all’amicizia con la potente famiglia possidente di Rionero, i Fortunato, riuscì ad evadere nuovamente, e così iniziò la sua carriera di brigante al servizio dei Borbone per la quale rivestì il ruolo di “generale”. Ninco Nanco si unì a Carmine Crocco e gli fu affidato il grado di “colonnello”. Anche in questo periodo i due briganti cercarono di sfruttare qualsiasi occasione per chiudere i loro conti con la giustizia. Nel 1862 Carmine Crocco, Ninco Nanco, a cui questa volta si aggiunse Giuseppe Caruso, cercarono di risolvere i loro problemi giudiziari con una trattativa con il delegato di Pubblica Sicurezza di Rionero in Basilicata, al quale proposero di essere disposti ad essere relegati in qualsiasi isola, purchè venissero “azzerati “ i loro problemi giudiziari per i gravi delitti di omicidio, commessi ai tempi del Borbone. A tal riguardo Massimo Lunardelli, scrive che - “ Già nel maggio 1862 (Crocco) aveva fatto sapere di essere pronto a mettersi al servizio delle autorità per distruggere il brigantaggio". Un verbale del Comitato dell’Arma dei Carabinieri Reali, datato 23 agosto 1862, redatto a Napoli, ha per oggetto : “ Trattative in partenza con briganti”. E' l'ufficio dell'Ispettore delle Legioni Meridionali che indirizza al Generale dell'Armata - Comandante Generale del 6° Dipartimento di Napoli tale verbale firmato dal Maggiore Generale Ispettore. Apprendiamo da esso che precedentemente la data del verbale Carmine Crocco, Ninco Nanco e Giuseppe Caruso avevano chiesto una trattativa con il delegato di Pubblica Sicurezza di Rionero in Vulture un “parlamento" nel bosco di Atella, esplicitando “il desiderio che avevano di presentarsi, qualora venissero esentati da qualunque procedimento giudiziario e venissero semplicemente relegati in qualche isola”. Ciò era avvenuto il 17 agosto del 1862. Il delegato dopo due giorni incontrò di nuovo Carmine Crocco, Ninco Nanco e Giuseppe Caruso e “li assicurava che sarebbero venute presto superiori determinazioni”. Dunque, Crocco e Ninco Nanco, assunsero l’atteggiamento di provare a far sì che i loro delitti fossero cancellati e conquistare la libertà non solo nel 1860, come abbiamo rilevato, ma anche nel 1862, cercando di intavolare trattative con gli stessi Comandi dell’Esercito Italiano. Dal verbale si evince che non vi era volontà di accettare la richiesta dei briganti da parte dell’Ufficio dell’Ispettore delle Legioni Meridionali , pur comunicando doverosamente al Comando Generale del 6° Dipartimento Militare che vi erano stati contatti tra il Delegato di Pubblica Sicurezza di Rionero in Vulture su richiesta dei briganti Carmine Crocco, Ninco Nanco e Giuseppe Caruso. Infatti il verbale termina facendo riferimento ad una più determinata lotta con "tutti i mezzi possibili per avere in qualsiasi modo nelle mani i detti capi e le genti loro". La protezione dei “Fortunato” Non solo il brigante Carmine Crocco non aveva alcuna sensibilità per la sorte dei contadini, ma era un uomo vicinissimo a quei possidenti di Rionero in Vulture, suo paese natìo, i Fortunato, i quali si erano impossessati, durante gli anni del Regno Borbonico, delle terre chieste dai contadini. Infatti nel 1848, anno delle grandi rivoluzioni, la famiglia Fortunato subì ciò che Pasquale Fortunato definisce “l’anarchico sollevamento della plebe”. In quel periodo gli uomini del partito democratico di Rionero riuscirono ad organizzare una petizione popolare di ben 300 firme di cittadini. Le terre contese ai possidenti Fortunato dal Comune di Rionero, erano nel 1848 quelle della tenuta di Lagopesole. Con il ritorno dei Borbone Giustino Fortunato senior, che era stato tra i sostenitori della gloriosa Repubblica Napoletana del 1799, il 7 agosto 1849 fu nominato da Ferdinando II primo ministro del Regno delle Due Sicilie, oltre che ministro degli Esteri e delle Finanze. Sia il “generale“ Carmine Crocco, che il suo luogotenente Giuseppe Caruso, furono dipendenti della potente famiglia possidente dei Fortunato, la quale aiutò Crocco ad evadere due volte dal carcere. Crocco sarà per sempre riconoscente a quei notabili che lo ospitarono più volte nelle loro aziende. Il brigante, pur ammettendo di avere sostenitori altolocati tanto da vantarsi di aver dormito poche volte nei boschi, non fece mai i nomi di tali suoi protettori. Nella sua autobiografia, tuttavia, si vanta di aver amici potenti definiti“ signori”: “Alla nostra salvezza contribuirono in massima parte i signori col loro potente ausilio, od almeno il loro silenzio. Io stesso che scrivo, nei vari anni della mia vita di bandito, dormii poche volte al bivacco, e trovai alloggio e ristoro presso personalità da tutti ritenute intangibili sotto ogni rapporto. Non fui mai tradito; molte di queste persone non mi tradirono per paura benché io non lo minacciassi, ma altre molte mi diedero ricovero per interesse e altri per cupidigia.” La ricerca storica ha dimostrato che tali “ signori” altro non erano che i potenti possidenti Fortunato. Carmine Crocco, come è noto, fu catturato per il tradimento di Giuseppe Caruso, con il quale aveva sognato di andare a vivere su qualche isola, a causa di Filomena Pennacchio, amante di Caruso e che Crocco voleva per sé. A conclusione della nostra ricerca sul brigante Carmine Crocco, con il supporto di una documentazione seria e rigorosa, è emerso che Carmine Crocco fosse solo un bandito comune al servizio della reazione Siamo quindi agli antipodi del brigantaggio di pura ispirazione sociale ed ideale che animò il contadino Angelo Duca, detto Angiolillo. Come scrive Ettore Cinnella a pagina 49 della biografia del brigante di Rionero in Vulture, nel caso di Carmine Crocco siamo in presenza di un “ ladruncolo casereccio che, dopo vari vicende di ruberie da giovane bandito, nell’ottobre 1855 fu condannato dalla Corte speciale a 19 anni di ferri, da scontare nel bagno penale di Brindisi." La nostra ricerca ha anche evidenziato come il Crocco dichiarò di voler distruggere lui stesso il brigantaggio, inviando un possidente di Rionero a riferire al Maggior Giuseppe Paoli tale determinata decisione. Inoltre il brigante continuò a contattare il Maggiore Paoli nel prosieguo della sua carriera da brigante "Generale" al servizio della reazione borbonica. Nel numero di aprile – giugno 2000 di Nuova Antologia è presente una testimonianza del generale Paolo Franzini, che comandava la Brigata Casale nel Melfese. In una lunga e dettagliata lettera inviata al generale La Marmora si dichiara che il brigante Carmine Crocco, condannato ai tempi del Borbone a 19 anni di carcere per omicidio, ed evaso grazie all’aiuto degli amici possidenti Fortunato di Rionero, suo paese natale, tentò anche nel settembre 1863 una trattativa con il Maggiore Paoli tramite la quale implorava il perdono “ in ginocchio”, dichiarandosi colpevole e baciando il tricolore piangendo.
Bibliografia E. Cinnella, Carmine Crocco, un brigante nella grande storia, 2010 M. Lunardelli, Guardie e Ladri, 2010 Nuova Antologia, Aprile - Giugno 2000
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