Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il «marrano» che finì ad Auschwitz

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Nella prima edizione del 1905 del suo celeberrimo «Dizionario moderno» Alfredo Panzini definitiva «marrano» l’ebreo convertito al cristianesimo, «poco fidato perché in segreto fedele al giudaismo». Un termine usato in senso dispregiativo e che era rivelatore di una certa dose di antisemitismo già presente nella cultura e nella società italiana del primo Novecento.

L’utilizzo in senso dispregiativo fu accentuato alla fine degli anni Trenta, quando diversi ebrei italiani o residenti in Italia, prima e dopo l’approvazione delle leggi razziste di marca fascista, si battezzarono, oppure ancora minorenni furono battezzati dalle famiglie, non certo per solide convinzioni religiose ma nel solo intento di sfuggire alle persecuzioni.

Un’illusione, perché l’antisemitismo aveva radici biologiche più che fideistiche o spirituali. E tanti ebrei convertiti finirono ugualmente ad Auschwitz.

Una di queste storie, come scrive Luigi Accattoli nel suo blog, è raccontata da Bruno Bartoloni, vaticanista di lungo corso per il Corriere della Sera, nel libro «Le orecchie del Vaticano» (Mauro Pagliai editore, pp. 252). Figlio di un giornalista italo-argentino (anche lui corrispondente dalla Santa Sede) e di un’ebrea tedesca, Bartoloni narra che il «nonno Fritz divenne un “marrano” insieme a mia nonna Hilde nella speranza di salvarsi.

Avevano seguito l’esempio di mia madre Marianne che per potersi sposare con mio padre si era fatta battezzare dal cardinale Eugenio Pacelli (…).

Si fecero battezzare ma so per certezza che fu per necessità. Fui battezzato anch’io per la stessa necessità e non certo per mia scelta.

Dopo l’occupazione di Roma da parte dei tedeschi, il nonno Fritz per intercessione del Vaticano si nascose presso i collegi pontifici, nelle vicinanze di Santa Maria Maggiore. Lì fu catturato dalla banda Koch nel corso della retata del dicembre 1943, che portò al fermo di alcuni oppositori politici e di alcuni ebrei, poi deportati dai nazisti in Polonia. Bartoloni riassume così il suo dramma:

«Lo sfortunato Fritz Warschauer dovette fuggire da Berlino perché ebreo, si dovette nascondere a Roma perché ebreo, trovò un rifugio perché cattolico ma fu preso come “politico” e morì ad Auschwitz bollato due volte con il duplice marchio di ebreo e di oppositore politico».

Un dramma individuale che ha spinto il nipote a «recuperare con orgoglio il nobile titolo di marrano», facendo coincidere con il 7 luglio 1944 il giorno della sua integrazione «in questa sospetta categoria». Infatti fu proprio in quel giorno, «voglio credere al tramonto», che il nonno materno di Bruno, il tedesco Fritz Warschauer, morì di stenti nel blocco 19 di Auschwitz.

«Da quel 7 luglio dunque sono tornato a essere un ebreo, anche se marrano come mio nonno. Recuperare l’identità ebraica mi è sembrato un piccolo contributo di riparazione ideale all’intreccio di violenze e di ingiustizie delle quali mio nonno è stato vittima, compresa la mortificazione di farsi battezzare, spinto dal ricatto di una possibile sopravvivenza».

 

Mario Avagliano

 

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